A compiere questo viaggio è stata Anna Kauber, paesaggista, ricercatrice, attivista, e membro del direttivo del Circolo Legambiente di Parma.
Dal 2015 al 2017 Anna Kauber ha viaggiato pressoché ininterrottamente lungo la nostra Penisola, dalle Alpi e attraverso la spina dorsale montuosa degli Appennini, fino all’Aspromonte, isole maggiori comprese. «Sono rimasta quasi sempre in quota, sulle Terre Alte – racconta – quelle dei pastori. Il mio progetto era quello di raccogliere e documentare attraverso video-interviste il nuovo e molto significativo fenomeno delle nuove presenze femminili nella pastorizia, che sapevo essere in crescita su tutto il territorio italiano».
Una ricerca di genere, dunque, per esplorare le trasformazioni che la specificità femminile poteva apportare un mondo di cultura fortemente maschile e patriarcale. «Oltre agli aspetti peculiari di cura degli animali nell’ambiente naturale – prosegue – il mestiere del pastore ha una funzione fondamentale per il presidio e la tutela dei territori soprattutto di montagna: ne preserva i paesaggi e trasmette i saperi tradizionali, insieme a tutto il patrimonio immateriale di quella millenaria cultura specifica. Attraverso l’attività del pascolo e l’allevamento brado e semi brado, i pastori curano e mantengono in vita tanta parte dell’eccezionale biodiversità animale e vegetale italiana».
Nei due anni di viaggio Anna Kauber ha incontrato più di cento donne pastore, tra i 20 e i 102 anni. Con loro ha condiviso il tempo della quotidianità, di vita e di lavoro: le lunghe ore di pascolo, l’accudimento nella stalla (quando c’era!), la trasformazione dei prodotti e le incombenze della casa. Spesso anche il sonno.
E il paesaggio italiano di montagna è sempre stato presente come protagonista, con la sua ricchezza di suoni naturali, di vegetazione e fauna selvatica.
«I luoghi della pastorizia – spiega – sono le aree interne e montane svantaggiate a causa di scelte politiche e di un modello di sviluppo che le ha marginalizzate, erodendone progressivamente le presenze e i saperi. Appassionate e determinate – giovani e meno giovani, istruite o meno – queste donne scelgono di restare o ritornare (riprendendo il lavoro dei nonni o dei genitori) oppure, semplicemente, lasciano la vita cittadina, in cui non si riconoscono più, magari un lavoro e spesso anche un titolo di studio, e “vanno in montagna”. Per molte di loro, la via della pastorizia è inoltre un’affermazione, solida e concreta, di autonomia e di responsabilità individuale, attenta all’utilizzo delle risorse nella consapevolezza delle emergenze ambientali e climatiche».
Dalla ricerca è nato anche “In questo mondo”, miglior documentario italiano al 36° Torino Film Festival, per restituire la densità e l’empatia dei rapporti umani che sono nati. Il film si compone di differenti tessere narrative che insieme ‘costruiscono’ il racconto corale della pastorizia al femminile in Italia e segue il ritmo lento della natura.
A Vivilitalia-Legambiente Anna Kauber spiega come è nata questa sua esperienza e cosa potrebbe illustrare ai viaggiatori attenti alla sostenibilità.
Come è avvenuto nella pratica il contatto con queste donne ?
«Un anno prima della partenza ho attivato la mia rete di conoscenze sviluppata nella mia decennale attività nel settore come paesaggista, ricercatrice e attivista (Legambiente, Slow Food, Università, Veterinari). Dopo aver raccolto i primi contatti sono partita. Pensavo che il viaggio sarebbe durato un anno e invece è stato lungo il doppio, perché durante l’esperienza venivo contattata dai territori e addirittura da altre donne pastore per chiedermi di andare a documentare. Ha aiutato sicuramente la narrazione che ho portato avanti sui social, a mo’ di diario di viaggio, dove raccontavo gli incontri con delle clip di girato della giornata, che ha incominciato ad interessare anche i giornali e la tv. Quello che facevo insieme alle donne pastore era vivere con loro e condividere la loro quotidianità ritraendole e conversando con loro, attraverso una estrema condivisione delle cose della quotidianità, unico modo per poter accedere alla loro interiorità e alla costruzione di una relazione di verità e di scambio. Ad ogni incontro vedevo nuova bellezza e nuova, arricchente diversità».
L’aumento della consapevolezza verso il tema delle donne pastore e la scoperta dei loro modi di vivere può influenzare la scelta di viaggi sostenibili da parte dei turisti?
«I viaggi sostenibili ed esperienziali ormai da anni hanno preso piede. Si viaggia cercando un’esperienza concreta, vera, un incontro con il paesaggio, con le persone, con quel tanto di diverso dalla quotidianità e dai nostri contesti di partenza. I miei due anni di viaggio sono stati all’insegna di una ricerca più che di un turismo vero e proprio, un approccio determinato da una chiara intenzione di scoperta, con una posizione precisa che si pone in una dimensione di studio più che di svago. Tuttavia, ci sono stati dei momenti in cui l’approccio a questi luoghi e a queste comunità, dal mio punto di vista è stato vissuto come un’eccezionale esperienza privilegiata di una realtà diversa, che poi avrei abbandonato per tornare al mio posto, come si fa per un viaggio: beneficiando di un profondo benessere interiore dato dall’immersione in quei contesti, in quella vita, in quel paesaggio e con quelle persone. Queste epifanie si vivono quando un viaggiatore è aperto, sensibile e senza preconcetti va per avere una esperienza di avvicinamento alla diversità. Ho provato emozioni che facevano fondere la ricerca con il viaggio».
Cosa potremmo consigliare a un “turista-viaggiatore” che volesse scoprire una realtà di questo genere?
«Consiglio il modo, l’approccio. Non il dove ma il come. Specialmente come ci si rapporta con le persone. Un’esperienza che potrebbe essere fatta in diversi luoghi, a patto che l’approccio sia quello corretto. Non si deve partire pensando a cosa si cerca ma lasciarsi sorprendere dalla conoscenza, dalle realtà e farsi contaminare da esse. Chiaramente si parla di luoghi che spesso prescindono dalla capacità di ricezione turistica e dai servizi, io sono partita affidandomi all’accoglienza delle singole persone. Tra i luoghi più significativi che ho visitato nella mia ricerca c’è il Molise, con una ricchezza di luoghi naturalistici, dei piccoli borghi, delle architetture. Si tratta delle terre alte, dei luoghi in quota, quelli dove vivono e lavorano le donne pastore Anche il Parco Nazionale del Pollino, in Basilicata, a cavallo tra i due mari, riserva delle sorprese, sia come bellezze della parte montana e della vegetazione autoctona, che dal punto di vista del clima, che gode della vicinanza della costa, che favorisce la crescita di specie arboree anche in punti di altitudine dove normalmente non si trovano. Qui la ricchezza viene anche dalle persone. Altre sorprese sono arrivate dalla visita delle montagne più aspre, dei contesti duri e selvaggi come l’Aspromonte o la Carnia. Inoltre, occorre tenere a mente che non si può prescindere da una conoscenza pregressa della storia e delle vicende, che sono portatori di consapevolezza: come a Campo Imperatore, in Abruzzo, con la sua spianata di montagne, dove da sempre avviene il mercato del bestiame. Questi sono gli aspetti che alimentano il genius loci, che ti rivela il territorio, ti fa emozionare e stupire. Suggerisco quindi, prima di mettersi in viaggio, di approfondire la conoscenza del territorio, per poi cullarsi, andando a scovare le peculiarità di ciascun luogo».